Ci sono giorni in cui ti chiedi quale valore dare alla tua vita ed ai tuoi sentimenti. Sono quelli i giorni in cui dovremmo leggere Amore liquido di Zigmunt Bauman.

Oggi voglio leggere con voi un libro che è stato per me illuminante. L’ha scritto un autore che, non poco tempo fa è stato sulla bocca di molti (anche di chi non sapeva assolutamente chi fosse) a causa della sua recente scomparsa. Sto parlando di Zygmunt Bauman, sociologo contemporaneo che ha osservato e analizzato la nostra società con un occhio critico e disincantato, talmente acuto da trovarle una definizione da manuale, quello di modernità liquida. Una definizione con la quale Bauman spiega il sistema di relazioni – o non relazioni – che contraddistingue la nostra società, profondamente segnata dalle dinamiche di consumo e di possesso di beni e oggetti. Una dinamica che sembra estendersi anche al mondo degli affetti e delle relazioni e alla quale il sociologo tedesco dedica un capitolo a parte con il libro Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi.

Nessuno può sperimentare due volte lo stesso amore o la stessa morte – così come, ci diceva Eraclito, nessuno può bagnarsi due volte nello stesso fiume. Entrambi sono eventi definitivi, irrigurdosi e indifferenti a tutto il resto.

Quella di oggi non è una vera e propria recensione. Lungi da me recensire un autore di così alta portata, tanto più che stiamo parlando di un sociologo e, per recensirlo degnamente, dovrei avere almeno qualche nozione rudimentale di questa scienza. Oggi vi parlerò di Bauman come può farlo una semplice lettrice che un giorno si è chiesta perché amare fosse così complicato e fosse così doloroso.

Negli impegni duraturi la razionalità liquido-moderna ravvisa oppressione; nel rapporto stabile, una dipendenza incapacitante. Quella razionalità nega il diritto a vincoli e legami, spaziali o temporali che siano.

Uno dei motivi per cui ho scelto questo libro, e non altri, è insito proprio nell’insegnamento che ognuno di noi dovrebbe trarne. Come lettori e come membri di questa società così ben descritta da Bauman. Non dobbiamo dimenticare, però, che Bauman è un sociologo, non un life coach o un consulente di coppia. Non ci fornisce delle risposte univoche alle nostre domande, piuttosto degli spunti di riflessione, molto avanzati, che dovrebbero aiutarci a comprendere meglio la nostra contemporaneità, il contesto in cui ci muoviamo, i punti di vista delle persone con cui condividiamo la nostra vita quotidiana. Spunti che dovremmo poter cogliere con piglio analitico e, dopo averli digeriti per bene, tratte le nostre conclusioni in relazione ai bisogni ed alle necessità della nostra esperienza particolare. Perché il consumo, la proprietà, il condizionamento sono un dato di fatto del contemporaneo, ma non solo “l’unica realtà possibile”. Tutto può mutare se il primo passo verso il “mutamento” viene da noi, singoli individui di questa grande macchina “società”.

È giusto, forse anche entusiasmante e nel complesso meraviglioso, che il sesso si sia emancipato a tal punto. Il problema tuttavia sta nel come fare a trattenerlo una volta scaricata la zavorra; come preservare la forma s non esistono più strutture disponibili. Volare leggeri è una cosa gioiosa,volare senza barra di comando è angosciante.

Tornando al nostro amore liquido, l’analisi che ne fa Bauman parte dalla relazione di coppia, dalla relazione “famiglia”, base della società moderna, e si estende all’intrico di relazioni umane tra individui, all’interno dello stesso consesso sociale. Si estende sino ai margini dell’alterità, ovvero della capacità, od incapacità, della nostra società di accettare il diverso, lo straniero, chi bussa alla nostra porta in cerca di asilo. E riconduce tutto ad un unico denominatore comune: la difficoltà di mettere pace tra amore e desiderio, il nostro abdicare all'”amare il prossimo tuo come te stesso”. Perchè anche se non siamo cattolici, quest’ultima frase definisce un punto di partenza determinante che, un tempo si dava per scontato, ovvio, assodato: l’amare prima di tutto sé stessi. Oggi, non sappiamo più amarci, ma cerchiamo nell’altro quel qualcosa in grado di colmare questo vuoto insanabile che ci perseguita. In questo scenario, l’idea stessa di “famiglia” vacilla: avere dei figli è assumersi la loro responsabilità e solo chi è “coraggioso”, oggi, lo fa con consapevolezza delle proprie azioni e non perché “deve” fare dei figli, rispondendo ad un impulso naturale e sociale.

L’avvento della prossimità virtuale rende le connessioni umane al contempo più frequenti e più superficiali, più intense e più brevi. Le connessioni tendono a essere troppo superficiali e brevi per considerarsi legami.

Non abbiamo più una barra di comando e andiamo a braccio, cercando surrogati si socialità e di connessione con l’altro. Così anche la virtualità, i social network, la rete diventa la risposta perfetta alle ansie di questa società che non ha più guide e riferimenti. Nella possibilità di comunicare senza comunicare fisicamente, noi abdichiamo alla necessità dell’incontro reale, pensando che questo non posse emergere prorompente anche nelle dinamiche virtuali. In poche parole, comunichiamo con tutti, ma in realtà non comunichiamo con nessuno. Così, smarriti e senza punti fissi, una famiglia, una persona amata, un figlio, una responsabilità qualsiasi, tendiamo a chiuderci, a diventare produttori e non più solo consumatori. Creiamo recinti e barriere ed escludiamo l’altro, pur dicendo di volerlo includere.

Come tutti noi sappiamo, i recinti hanno due lati e servono a dividere lo spazio altrimenti uniforme in un “dentro” e in un “fuori”. tuttavia ciò che è “dentro” per chi sta da un lato, è “fuori” per chi sta dal lato opposto.

Ci chiudiamo e generiamo esclusione, discriminazione, incomprensione. Non vogliamo più ascoltare, più comprendere e ci limitiamo a pensare e parlare “per sentito dire”, abdicando alle nostre stesse capacità di giudizio e di intelletto. E tutto ciò che non comprendiamo diventa criminale, ghettizzato, artefice del male che ci circonda.

Ora, in questo panorama, possiamo solo fare due scelte: perpetrare questo sistema, questo modus operandi, in cui l’altro diventa uno scomodo incidente di percorso, qualcosa di invalidante alla nostra presunta libertà, oppure decidere di lasciarci questi schemi autolesionisti e aprirci al mondo che ci circonda, all’alterità, recuperando il coraggio di diventare responsabili delle nostre azioni, di fare sesso amando e di mettere al mondo figli che siano il prodromo del nostro futuro.

La nostra è una scelta libera…ma che almeno sia consapevole.


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