Cosa significa essere un bandito nella Milano, degli anni Cinquanta? Ce lo raccontano a viva voce Matteo Speroni e Arnaldo Gesmundo ne “Il ragazzo di via Padova”. 

Qualche tempo fa, durante uno degli incontri del Gruppo di Lettura di quartiere, abbiamo letto un romanzo che parlava direttamente della storia della nostra città. Una storia criminale, fatta di povertà ed emarginazione sullo sfondo di una Milano d’altri tempi, ma che cova, in seme, quello che è diventata oggi. Nel bene e nel male.

Il libro in questione è Il ragazzo di via Padova. Vita avventurosa di Jess il bandito, scritto a quattro mani dal giornalista e scrittore Matteo SperoniArnaldo Gesmundo, alias Jess il bandito in persona.

Chi credeva in una passeggiata noir, si è trovato davanti una pezzo di vita vera, documentale, forte e senza filtri, che sembra non omettere nulla nel nome di un “benpensantismo” collettivo o di un politically correct letterario. Quella di Jess è la storia di un bandito raccontata dalla voce viva di un bandito, da chi ha sempre vissuto la criminalità come una professione e l’unica risorsa economica.

Se pensate, quindi, di leggere il libro di Matteo e Gesmundo  come si legge un romanzo di Varesi (senza nulla togliere a Varesi!), non leggetelo neppure. Se dovete chiedervi perché scrivere un libro “criminale”, allora non andate oltre la copertina.

Piuttosto chiedetevi perché, ad un certo punto, nella vita di un uomo, la via criminale diventi l’unica possibile. Perché in una società opulenta e snob come quella che rappresenta ancora oggi Milano, esistevano tanti come Gesmundo che scendevano a patti con la parte più oscura di sé stessi piuttosto che scendere a patti con l’ipocrisia di certi individui (e la parte più oscura della loro società).

Perché la storia che ci raccontano a quattro mani – e due voci – Matteo SperoniArnaldo Gesmundo è il racconto corale di una città che, dall’immediato dopo guerra non ha saputo – se non a suo modo – arginare il degrado, la povertà e gestire il conseguente boom economico, diventando schiava prima dell’uno e poi dell’altro. Il romanzo alterna capitoli di narrato al vivo ricordo di Gesmundo e della sia vita, in una Milano che si intreccia e di ricostruisce di pari passo alla carriera criminale del nostro protagonista. Pagina dopo pagina ritroviamo i nomi e i volti di una metropoli conosciuta; le dinamiche travolgenti di una città centripeta, che assorbe energie e restituisce molto poco; quello stile di vita, che oggi definiamo “tipicamente” milanese e che in questo romanzo lo vediamo, letteralmente, in formazione.

Lo stile di Speroni è inconfondibile: netto e preciso, contemporaneo, che come un bravo giornalista riporta i fatti, recupera e confronta le fonti, studia e racconta un pezzo di storia vera che, per ardire, è già di per sé così noir da aver bisogno di poche e sapienti pennellate da romanzo.

Perciò, non chiedetevi perché leggere questo libro “criminale”. Semplicemente prendetelo come un documento di vita, qualcosa da leggere per il piacere di leggerlo, ma anche per sapere e conoscere una parte di storia che non tutti conoscono e che difficilmente qualcun altro vi racconterà. Considerate  Il ragazzo di via Padova. Vita avventurosa di Jess il bandito come uno di quei libri che vi raccontano una di quelle microstorie che stanno alla base della “Storia” con la S maiuscola, quella fatta dagli uomini di tutti i giorni, della vita quotidiana, del pane comune e dagli operai dell’Alfa Romeo.


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