Torna American Graffiti e torna con un libro che è molto più di un libro, ovvero Confessioni di un artista di merda di Philip K. Dick.

Penso a scrittori che si lamentano dell’essere scrittori, e del sistema editoriale, e del mondo moderno o iper-moderno… Non scrivono un libro. Scrivono un libro per dire che non scrivono un libro. E mi dico, perché non scrivono “un fatto”, anziché lamentarsi, e raccontarci così un non-fatto, cioè che non hanno fatto “un fatto”…

Leggo Confessioni di un artista di merda di Philip K. Dick. Non c’è titolo più preciso. Dick tenta di discutere e di allargarsi il sistema editoriale con un libro non di fantascienza. Per chi non conoscesse Philip K. Dick, da un suo libro, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? è stato tratto il film Blade Runner di Ridley Scott. Philip K. Dick è cioè la “science fiction” americana.

Leggo due tre pagine ed è “un fatto”. C’è uno scrittore. Che scrive. Che sa scrivere. Uno scrittore che non può non scrivere. E soprattutto non che si lamenta dello scrivere o del sistema editoriale o del mondo moderno o iper-moderno…

Leggo due tre pagine e sono dentro a un universo di Philip K. Dick, o dei fratelli Coen se servisse: un universo anni ’50, c’è Pearl Harbour con la caccia ai giapponesi in California (descritta da James Ellroy in Perfidia, capolavoro), c’è la seconda guerra mondiale che è la cicatrice della narrazione americana (con il Vietnam e con JFK), c’è certamente la paranoia della letteratura di Dick e degli alieni, e c’è “un artista di merda” che ci racconta con i suoi occhi il di dietro degli anni ’50 che il cinema censurava.

Un universo che non si esaurisce con la fantascienza, o l’idea di fantascienza di Philip K. Dick. Sembra un libro di Richard Yates, l’autore di Revolutionary Road. La coppia middle class nella casa americana. La vita in una cittadina nella baia di San Francisco. I rapporti tra la coppia che scoppia e l’esterno. L’apparenza. E c’è l’artista di merda, il primo folle della letteratura di Philip K. Dick, che si chiama Isidore, come il protagonista del libro da cui è tratto Blade Runner.

Un libro, se è un libro, è “un fatto”. Non è materiale, è materia. Leggo due tre pagine e si sente se è del materiale o se è materia, materia di una scultura di parole, scultura che non ti dimentichi. Seppur non plastica, questa arte ha una sua plasticità e resta impressa nella memoria di chi la legge.

Il mio consiglio è di non imitare mai David Foster Wallace o Don DeLillo. Philip K. Dick men che meno. Non sareste un artista di merda. Non sareste neanche un artista di merda. Non sareste niente. Perché qualcosa anziché il niente? Perché c’è uno scrittore come Philip K. Dick.