Donne che odiano i fiori di Paola Sironi è un giallo dai toni forti e dalle tinte noir, che sa parlare delle molteplici anime delle donne.

Fresco di stampa di casa Todaro Editore, Donne che odiano i fiori di Paola Sironi è uno di quei gialli che si fanno leggere per il puro piacere della scoperta. Trama densa, indagine ben orchestrata, struttura “classica” che si porta, da una duplice morte – forse suicidio? – sino all’immancabile epilogo. Eppure, già leggendo le prime pagine, ci accorgiamo che qualcosa non torna, che non siamo davanti ad un semplice “giallo classico”, ma a qualcosa di diverso: nella trama e nella sostanza. Ecco di cosa di tratta.

Il cadavere di Damiano Brancher, stritolato da un anaconda gigante, è rinvenuto in un giardino botanico sopra Stresa e, pochi giorni dopo, la migliore amica dello sventurato si suicida, gettandosi sotto un treno in un quartiere periferico di Milano. Le indagini sulle due disgrazie è affidata al reparto “Problem solving”, più comunemente detto “Desbrujà rugne”, della Questura di Milano. Qui lavora l’ispettore Annalisa Consolati, protagonista del romanzo, insieme ai suoi due colleghi: l’estrosa Caterina Cederna e il mite Vilnev Rosaspina, spericolato pilota. La squadra, guidata dal grande capo Elia Matrosimone, scava nella vita delle due vittime, nel tentativo di ricostruire le connessioni logiche che possono chiarire i lati oscuri dei due incidenti.

Annalisa Consolati è una professionista, che sa fare il proprio mestiere con zelo e attenzione e sa condurre le proprie indagini, insieme ai suoi colleghi, in modo ineccepibile. E grazie a lei riusciamo anche noi, lettori, ad entrare in quella che solo a prima vista sembra un’indagine già risolta, ma che si rivela, ben presto, un viaggio nell’animo più vero, e profondo, dell’essere femminile. Perché il vero protagonista, in Donne che odiano i fiori, non è la morte di Loretta e Damiano, entrambi a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, in circostanze che fanno pensare più ad un suicidio, e in due località molto lontane tra loro. Non è neppure il mestiere di faccendiere di Damiano o quello di vivaista di Loretta. La vera indagine di Annalisa è quella che la spingerà nel ventre più profondo e recondito dell’essere femminile e che la porterà a toccare con mano, a conoscere, a sperimentare anche sulla propria pelle le molteplici sfaccettature dell’animo femminile. Siano essere figlie, madri, professionista, mogli, amanti, prostitute, vittime, carnefici, schiave, aguzzine o vendicatrici: in questo romanzo della Sironi la donna sembra urlare a pieni polmoni il suo essere molteplici anime, con l’impossibilità di ridurre ad uno il concetto stesso di donna.

Un percorso difficile, quello intrapreso dall’autrice, ma che riesce discretamente bene, allontanando dal romanzo qualsiasi elucubrazione teorica, e lasciando parlare “semplicemente” la trama, il suo svolgersi da un inizio ad una inevitabile fine. Ma tra questo “inizio” e questa “fine”, Paola Sironi ci porta sin da subito su sentieri poco battuti, seguendo un’indagine che, solo all’apparenza, sembra una classica indagine ma che porterà Annalisa, e la sua squadra, verso sentieri difficili e poco tradizionali.

Il mondo della protagonista è, esso stesso, un mondo diviso tra i doveri dell’essere figlia di un padre problematico e anziano, dell’essere compagna della sua dolce metà, Minerva, che spesso diventa il controcanto dei suoi pensieri, unica confidente e amica, e il suo lavoro in una squadra di colleghi pronti a tutto pur di far tornare i conti della giustizia.