Anche la creatività ha le sue regole: su questo non ci sono dubbi. Parola di Gianni Rodari e della sua Grammatica della fantasia.

Tra tutte le storie e i racconti scritti da Gianni Rodari, oggi voglio leggere con voi un testo davvero singolare. Si intitola la Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie . È un libro che non è mai mancato sulla mia scrivania di ladra e questa settimana, parlando di autori che “giocano” con le loro storie e il loro narrare, non ho saputo resistere alla tentazione di parlarvene.

Per quanti già conoscessero i lavori dello scrittore piemontese, questo testo potrebbe apparire un po’ anomalo. Siamo abituati a vedere Rodari nei panni dello scrittore per bambini e ragazzi, immaginando mondi fantastici come nelle “Novelle fatte a macchina” o nelle “Avventure di Giovannino Perdigiorno”. Sappiamo che è stato un maestro elementare e che poi ha scelto la carriera giornalistica. Sappiamo anche che, nel lontano 1970, vinse il Premio Andersen per la letteratura d’Infanzia. E allora, chiederete voi, cosa c’entra questa grammatica delle fantasia con noi ladreschi ladri di libri?

C’entra nella misura in cui questo libro è un vero e proprio manuale di scrittura creativa, in grado di indicare esercizi fattibili per allenare il nostro pensiero laterale. Uno di quelli in cui la pratica si mischia alla teoria, in cui gli esercizi sono presi dal mondo del quotidiano e in cui l’osservazione e la capacità di elaborare ciò che guardiamo diventano dei capisaldi. Sono esercizi di quotidianità che dovrebbero aiutare tutti, lettori e scrittori, a sviluppare un metodo di ricerca e di indagine in grado di permetterci di vedere ciò che ci circonda sotto un’altro punto di vista. Per Rodari, che con gli occhi dei bambini ha visto per molto tempo, questo riesce molto facilmente. A lui è bastato insegnare ai più piccoli per analizzare da vicino il funzionamento di menti prive di condizionamenti, in procinto di scoprire ciò che il mondo, di bello e di brutto, ha in serbo per loro. Quindi, la prima cosa che dobbiamo fare, aprendo questa grammatica è: “liberarsi di ogni condizionamento” (che suona un po’ come il leonardiano “andare in cerca di draghi” 😉 )

La seconda cosa che, invece, dobbiamo fare è porsi una domanda: che cos’è la parola?

Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con effetti diversi, la ninfe, la canna, la barchetta di carta […]. Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena…

Bene, per Rodari la parola è come un sasso nello stagno e il nostro compito è quello di darle tutto lo spazio per riverberare con gli altri oggetti, e pensieri, che incontra nella nostra mente. Fate una prova: poniamo la parola “benzinaio”e provate a costruire una storia solo con le parole, e le immagini, che la mente vi suggerisca pensando alla parola “benzinaio”. Fatto? Bene! Siete già sulla buona strada.

Ed ora facciamo un passo in avanti. Invece di pensare ad una sola parola, proviamo ad affiancare alla prima una seconda che, all’apparenza non ha nulla a che fare con questa. Ad esempio: benzinaio – albero. Le due parole non hanno alcun apparente legame, eppure ora cerchiamo di costruire una storia, una frase, un pensiero in cui le due parole siano connesse tra loro. Ad esempio: l’albero del benziano, il benzinaio sull’albero, il benzinaio nell’albero. Ecco, ora abbiamo creato quello che Rodari, parafrasando Paul Klee, chiama “binomio fantastico”.

La singola parola agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe ad uscire dai binari dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significare, Non c’è vita, dove non c’è lotta.

E adesso, direte voi? Che di fa? Da questo momento in poi Rodari prende in considerazione tutti i casi in cui la nostra reattività al possibile, e all’impossibile, è chiamata in causa e offre, da lì, spunti per creare: nuove realtà, nuove dimensioni, nuovi mondi e modelli e, soprattutto, nuove storie. Ci insegna che dal caso, dall’errore e dal nonsense possono nascere spunti creativi di notevole interesse e, soprattutto che, quando ci troviamo in difficoltà, ci sembra di essere finiti in un vicolo cieco creativo, ogni cosa può essere funzionale a sbloccarci. Basta imparare a pensare fuori dagli schemi o basta darsi degli schemi, come quando fa riferimento alle carte di Propp ed ai ruoli codificati dall’antropologo russo. 

Il gioco del “niente” lo fanno i bambini stessi, chiudendo gli occhi. Serve a dar corpo alle cose, a isolare dalla loro apparenza la loro stessa esistenza. Il tavolo diventa straordinariamente importante nel momento preciso in cui, mentre lo guardo, io dico “il tavolo non c’è più”.

Ma, soprattutto, ci insegna che la creatività non si può improvvisare. Non è un esercizio intellettuale o qualcosa che si impara a scuola. La creatività, la fantasia, tocca i mondi inesplorati delle connessioni logiche, dell’induzione e intuizione, è lontana dalla presunzione di essere creativi e dalla necessità di mostrare le proprie doti.

Quindi, lettori o autori, impariamo a leggere il mondo con gli occhi di un bambino. Non è un modo di dire, ma un modo di essere.

La storia, per uscire, deve sempre essere servita con fedeltà, nella sicurezza che l’esercizio di fedeltà sarà compensato al cento per uno.


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