Metti una domenica di ottobre a Lerici e mettila a casa di Marco Buticchi. Recensione semi romanzata de La Luce dell’impero di Marco Buticchi. 

Quella di oggi non è solo una recensione, ma un vero e proprio colpo da ladro sopraffino che, insinuatosi in casa di Marco Buticchi, ha saccheggiato storie e curiosità del suo ultimo romanzo edito per Longanesi, La luce dell’impero.

E Marco non ha deluso la nostra curiosità ladresca. Nel suo villino tra le colline sopra la cittadina ligure, lo sguardo rivolto al mare, ci ha accolto ai fornelli, intento a spadellare testaroli al pesto e rosolare stinco al forno.

La bruma di una mattina di inizio ottobre avvolge la veranda di casa e la terrazza che dà sul mare. Lo sguardo si perde per qualche istante sul golfo di Lerici che si scorge appena, con la sua rocca e le vele che solcano il mare. I suoi tre cani dormono tranquilli sotto il tavolo di legno massello ricoperto da una tovaglia di lino verde. Per l’occasione, Consuelo, sua moglie, compagna di una vita, il cui sguardo luminoso incrocia spesso gli occhi verde mareggiata di Marco, fa gli onori di casa e versa in bicchieri di vetro colorato, un ottimo vino bianco. Così, calice alla mano, ci sediamo accanto a Marco, apriamo la prima pagina del libro e scopriamo i piccoli segreti di questa nuova avventura.

C’è un mistero che accomuna la figura di Massimiliano d’Asburgo a quella di Damacio Ruiz, uno dei più potenti narcotrafficanti del mondo. E c’è una ricerca  – ed una storia – che porta Oswald Breil e Sara Terracini sulle tracce di una pietra antica e maledetta, un omicidio e un intrigo che non sarà facile dipanare, ancora di più perché, in questo intrigo ci finiscono:  la lotta per la supremazia di un territorio da parte dei cartelli della droga messicani, le indagini di Tomaso Moreno, ex giudice impegnato nel pool antinarcos e il potere arcano e terribile di un diamante avvolto da un potere tremendo e antico.

Seguire Marco Buticchi nei suoi racconti è un po’ come leggere uno dei suoi romanzi: densi, ad effetto, carichi. In una parola esplosivi. E, in effetti, tentare di riassumere la trama fittissima di questa nuova avventura della coppia Breil/Terracini, La luce dell’impero non è cosa da poco perché densa, ad effetto e oltremodo carica e per spiegarlo ci sono 3 perché +2 curiosità.

I 3 perché

1) Il mashup temporale. Quello di Marco Buticchi nel suo ultimo romanzo è un vero e proprio mashup temporale, tra la “grande” storia del XIX secolo, dell’impero messicano di Massimiliano d’Asburgo e la “piccola” storia del nostro tempo, della nostra contemporaneità.  Un centrifugato che ingarbuglia le carte, che costruisce relazioni “pericolose” tra cose, fatti e persone e che sembra suggerirci che ciò che abbiamo adesso potrebbe anche essere frutto di ciò che è accaduto in passato. Ci fa anche perdere il filo un paio di volte nel corso della narrazione, con il suo “via vai” tra passato e presente, con il suo rincorrere avvenimenti e vicende, ma non si può negare che uno dei segreti della pienezza della trama di questo romanzo, si trovi proprio nella capacità di “usare” l’asse temporale a proprio piacimento. Per la serie, “uniamo i puntini, cosa ne uscirà?”.

2) Un romanzo “reale”. Lancio una sfida, che dovremmo intraprendere ogni volta che prendiamo in mano un libro di Buticchi: leggere il romanzo a caccia del reale, ovvero di tutti i fatti di microstoria che l’autore nasconde tra le trame delle sue storie. Non sto parlando, logicamente, dei fatti, ovvero di quelli che possiamo legare alla storia narrata nei libri. Tutti sanno (più o meno) che Massimiliano d’Asburgo venne nominato imperatore del Messico e che qui venne fucilato. Marco Buticchi, però, oltre a questa storia, si diverte a disseminare la trama di micro eventi realmente accaduti e che trasporne in chiave romanzata, per dare più spessore e veridicità ai suoi personaggi. Non vi dico nulla, ma se prima avete unito i puntini, ora dovete andare a caccia di indizi.

3) Cattivi, anzi cattivissimi. come i personaggi ideati da Buticchi per questa nuova avventura. Non che i “cattivi” di Buticchi non siano mai stati dei cattivi, ma nella costruzione di questi, c’è dell’arte e del genio. Logicamente del male. Forse complice il tema, all’ordine del giorno, del narcotraffico, l’ambientazione messicana che rimanda ad un clima da “confini del mondo”, da “sfida all’o.k. Corral”, la storia di questo paese che non depone a favore della pace e della non belligeranza, ma questa volta tutto di loro vibra ed emana cattiveria. La loro è una cattiveria che non si traduce in semplice violenza, ma nella capacità di dare vita a pensieri, gesti, parole dure, crude, ferali e infernali. Lo capiamo sin dalle primissime pagine che questa storia non sarà facile.

Certo, i momenti di distrazione e le défaillance non mancano. Da Ladra, non posso omettere due pensieri che mi sono balenati subito in mente, mentre leggevo La Luce dell’Impero. La prima è stilistica: immagino sia difficile mantenere alto il registro per  tutte le 430 e passa pagine del romanzo, ma in alcuni casi la frettolosità e la superficialità con cui sono chiusi periodi e frasi, ci fa storcere il naso. La seconda nasce dal mio essere “classe ’80” ed essere cresciuta a pane e Zemeckis, così ogni volta che si parla di diamanti, pietre antiche e paesi del Sud America, mi vengono subito in mente scenari modello “All’inseguimento della pietra verde”, e il sorriso non può che farsi largo.

Le due curiosità

1) Il romanzo nato da un mistero. Non è solo il romanzo a parlare di misteri, am sembra proprio che lui stesso sia nato da un piccolo mistero. Marco Buticchi ci ha raccontato una storia alquanto bizzarra, di un account Facebook avvolto nel mistero, e nell’anonimato di un alias, di lunghe chiacchierate via chat e, soprattutto, di un documento che gli viene inviato da questa strana amicizia. In questo è raccontata la storia di Massimiliano d’Asburgo con dovizia di particolari e soprattutto, una approfondita ricerca storica dalla quale lui stesso è partito per scrivere La luce dell’Impero.

2) Le illustrazioni non sono fatte da chiunque ma proprio dalla moglie dell’autore, Consuelo, che con un po’ di modestia e vivacità si è stretta nelle spalle e ci ha confessato questo piccolo tesoro.