Milano di oggi non è la Milano di ieri e ce la racconta Gianluca Ferraris nel suo ultimo romanzo, Shaboo, edito Calibro 9, Novecento editore.

Chi conosce Gianluca Ferraris, conosce anche Gabriele Sarfatti, cronista di nera, blogger e tossico. Il suo lavoro dipende dai fatti di cronaca che popolano il ventre di una Milano nera e nebbiosa. La sua vita si gioca tra ex ammalianti, il suo amico pusher di fiducia, Zucchero, e la sua dipendenza. E proprio da qui nasce questa storia: da una dipendenza e da chi, la droga, la spaccia su larga scala nelle metropoli d’Italia.

La trama di Shaboo di Gianluca Ferraris

Sarfatti ha già avuto a che fare con l’immigrazione – in Piombo su Milano – e con la corruzione – in A Milano nessuno è innocente – in Shaboo si ritrova, invece, invischiato in un affare di droga, di spaccio e di faide. E invischiato è la parola più corretta perché questa volta non è lui che si mette a scavare nel marcio, ma è il marcio che si imbatte in lui e lo fa con due cadaveri decapitati, trovati nella toilette dell’Intercity che lo sta riportando a Milano. Gabriele ci inciampa letteralmente e potrebbe anche lasciare lì quella storia. Invece se la porta a Milano (e anche a Napoli, seconda location di questa vicenda) e comincia ad indagare. Quello che troverà, però, non gli piacerà affatto: non solo perché questo caso nasconde una storia molto più grande dello stesso Sarfatti, ma anche perché lo porterà ad un epilogo che ci lascerà con l’amaro in bocca. 

Shaboo rischia di essere l’ultima avventura del buono e maldestro Sarfatti. La sua unica colpa è quella di non aver ancora capito di avere quasi 40 anni e di fare scelte che, spesso, lo portano a giocare con il fuoco. Anche se Gianluca Ferraris non scioglie il punto di domanda sul dubbio che ci attanaglia non appena leggiamo il prologo del suo nuovo romanzo, quando cominciamo a leggere Shaboo, sappiamo già che Gabriele, questo giro, si è beccato una pallottola. E anche se leggiamo d’un fiato tutto il romanzo, cercando di capire come questo sia potuto accadere, non troveremo una soddisfazione perché, in effetti, la parola fine non c’è scritta e nessuno arriva a dirci, a chiare lettere, che “Gabriele Sarfatti è morto”.

Mentre cerchiamo di capacitarci di quanto letto nelle primissime pagine di Shaboo, Ferraris ci catapulta in una storia che affonda le proprie radici nella nostra contemporaneità al punto da inframmezzare la narrazione con le testimonianze di cronaca, di vita e di dipendenza, raccolte nel corso del suo lavoro di giornalista. Ma attenzione, non stiamo parlando di un saggio, né di una raccolta di articoli di nera. Come il bravo Gianluca Ferarris sa fare in tutti i suoi romanzi, ci ritroviamo a leggere una storia plausibile, dai contorni molto reali e per nulla sfumati, dove non ci viene scontato nulla e che di letterario ha solo i suoi personaggi (in parte) e i rimandi ad una colonna sonora, e a dei brani musicali, che fanno da contorno e da ambiente ad ogni svolta o avvenimento importante della vita del nostro protagonista.

Lo stile

A corredo di ciò, uno stile asciutto, che parla lo slang della contemporaneità, che si immerge anche lui, come la storia, nel mondo che ci circonda. Bandite le soluzioni letterarie da romanzo d’appendice, allora. Bandite anche le trovate poetiche. Rimane solo un po’ di amaro in bocca per certe affermazioni che ostentano una retorica da aforisma, come ad esempio passaggi di questo calibro: “Ognuno di noi ha un punto di rottura. La cosa brutta è che scopri qual è solo quando ci arrivi.“, e che, forse, avrebbero potuto avere una soluzione meno da cliché. Ma, come dicevo prima, è solo un appunto all’interno di un romanzo che vale la pena di leggere almeno una volta nella vita. Anche se non si conosce Milano e il suo ventre oscuro (o forse proprio per questo motivo…)

“La presunta metropoli ce la mette tutta, ci dà dentro con gioia e fantasia per rassicurare a noi giornalisti, che magari adesso ce ne stiamo annoiati in un angolo del treno ad ascoltare Giorno Zero degli Skassapunka sull’iPod, una colazione del giorno dopo a base di tagliagole, puttane, tossici, strozzini, colletti bianchi terribilmente macchiati e cornuti inferociti dalla vergogna. “