A pochi giorni dalla scomparsa di Robert M. Pirsig, leggiamo insieme il suo best seller più letto, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta.

Da qualche tempo guardavo questo libro con qualche esitazione. Perché è uno di quei libri che ogni tanto ricompariva sulla mia scrivania. Perché sfogliarne le pagine significa trovare sempre spunti di riflessione nuovi. Perché ogni volta che lo rileggevo, mi lasciava sempre un po’ perplessa. Oggi, però, voglio lasciare dubbi e incertezze e partire per questo viaggio on the road con Robert M. Pirsig e il suo Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta.

Se siete amanti del viaggio on the road, lasciate perdere questo libro. Probabilmente dopo qualche pagina vi farà venire la nausea. Con questo non voglio dire che sia un brutto libro, ma più semplicemente che il fatto di scrivere di un viaggio in moto con il proprio figlio, durante le vacanze estive, non lo fa assurgere automaticamente al pantheon della narrazione on the road. Errore di forma fatto da chi, troppo spesso, vuole affibbiare etichette di comodo a ciò che non riesce a catalogare. Pirsig parte da un viaggio, è vero.  Un viaggio che lo porta verso il Montana, insieme al figlio undicenne Chris e ad una coppia di amici. Mezzo di predilezione: la moto. La narrazione scorre veloce tra descrizioni particolareggiate di situazioni, di ambienti e di paesaggi, ma non è il fulcro del romanzo. Pirsig, in realtà, sfrutta il viaggio come spunto al suo vero intento, ovvero la costruzione e definizione di quella che è la Metafisica della Qualità, Metaphysics of Quality.

Di cosa si tratta? Di un vero e proprio pensiero filosofico o, come dice la stessa denominazione, della descrizione del mondo e delle sue categorie di pensiero, partendo dal contingente e dal sensibile, per arrivare al loro costrutto di pensiero, appunto metafisico. Come Aristotele ed Hegel, Pirsig fa esattamente quello che ci si aspetterebbe da un filosofo contemporaneo: pensa e descrive il mondo che ci circonda, ascoltando il pensiero del suo tempo e riorganizzandone le idee. E lo fa nei modi e nei termini del pensiero contemporaneo: unendo, cioè, in modo sincretico, la filosofia occidentale più classica, il suo stile di vita, il suo modo di pensare il reale (con un filo di capitalismo borghese che scorre nelle sue vene), alla filosofia zen di matrice buddhista, che tanto andava (e va) di moda negli anni Settanta. Insomma, quello che Pirsig scrive è un manuale di sopravvivenza al contemporaneo che, diversamente dai libri dei vari Osho e Krishnamurti, parte da una matrice filosofica e si lascia liberamente contaminare, senza mai trascendere nel puro e semplice new age. Un modo di filosofeggiare quasi socratico, che dalle passeggiate con gli allievi, passa alla sgasata d’acceleratore sulla sua inseparabile moto.

E non è da sottovalutare questo dettaglio, perchè se leggiamo il romanzo di Pirsig come un testo on the road, difficilmente riusciremmo a capire cosa il suo autore volesse comunicare davvero. Avremmo, insomma, sempre la sensazione che manchi qualcosa di fondativo e determinante nella sua comprensione. Questo romanzo, invece, è una bella e completa panoramica sulle origini del nostro pensiero contemporaneo che va oltre la new age e che si traduce anche in una piacevole lettura, dai toni distesi e dal respiro largo.

Insomma, una lettura da fare, anche solo per onorare la memoria di uno dei pensatori più “chiacchierati” del secolo passato.


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